di Cesare Monetti
Due mesi di strade troppo vuote, troppo grigie, troppo silenziose questi che sono appena passati vittime del Covid-19. Niente maglie colorate, niente bandane, niente sudore o fiatone. Niente colpi di pistola di un giudice che ha acceso la scintilla della nostra fatica, nessuno speaker che annuncia nomi e narra le gesta di campioni, niente classifiche, niente selfie, nessun ristoro a metà strada, niente mal di gambe il giorno dopo. Neanche un bambino a cui battere il ‘five’ o una signora che impreca che non può attraversare la strada. Sì, perché lei a quell’ora la domenica mattina quella strada le serve per andare a messa. Ma tanto neanche ora c’è più andata a messa.
Manca tutto, c’è il vuoto. Mancano i sorrisi e manca la folla. Sì, manca l’assembramento come si dice ora. Che poi è la fila al ritiro pettorali, la fila impossibile per andare al bagno prima del via, manca la calca al deposito borse che porco cane è sempre introvabile. Mancano gli amici da abbracciare. Mancano quelli che dicono che sono infortunati, che non si allenano mai, che sono stati con la febbre tutta la settimana. E poi invece stampano il personal best e fanno un garone. E chi gli crede più a questi qui.
Sì, AMO l’assembramento, lo schieramento in partenza, l’attesa prima del via quando alzi il braccio per far prendere il gps, magari quando hai i palloncini da pacer sulla schiena e in tanti ti chiedono il ritmo che terrai, se sarai regolare. Ti raccontano il loro sogno cronometrico, hanno paura, magari è la prima volta sui 42km e affidano a te le loro speranze. Amo quando sei lì in mezzo e c’è la musica, suonano l’inno italiano e fa freddo. Magari diluvia. E pensi a chi te l’ha fatto fare che poi la domenica mattina la gente giusta, sì quella che sta a posto con la testa sta a casa e fa la colazione al bar. Non sono degli scappati di casa come noi che ci alziamo alle 5.30, facciamo 130km all’alba per andare a prendere pioggia e macinare chilometri. Però, toh, come la vecchietta che non può andare a messa, neanche più al bar la domenica mattina ora la gente ‘a posto’ può andare.
Manca quando senti laggiù in fondo il colpo di pistola, i top runner sono partiti a bomba, 3-4-5-6 minuti e ci si muove piano piano e cavolo i keniani sono già al 2° km e noi siamo ancora qui che ci muoviamo a piccoli passi. Appiccicati. Qualcuno dietro spinge. Qualcuno puzza già. Qualcuno ha 12 gel e due borracce che neanche dovesse andare nel deserto. Ma gliel’hanno detto che ci sono i ristori ogni 5km? Ma si avanza, al passo, piano piano. Il portale di partenza si avvicina sempre più, la musica si alza, gli applausi, lo speaker che urla, l’adrenalina che sale. Via. Start. Click sul gps proprio lì sul tappeto dei chip proprio sulla linea ufficiale. Via si va. Si corre. Ancora ammassati. Che bello. Cavolo ma vanno piano, perché si mettono in questa griglia se vanno così piano. E si saluta. Gli amici, la moglie, i figli, che come te erano in attesa ma dietro una transenna posizionata cento metri più avanti. Un assembramento che mi piace e che sta scemando sempre più, tanti parlano, si salutano, sparano battute. Parlate parlate, voglio vedervi al 30km se gridate ancora così. Ma intanto andiamo…
Manca la foto di gruppo, manca il pranzo post gara, la coda al massaggio e la doccia gelata che già ci sono passate 3mila persone. Vedi a correre lento, se arrivi tra i primi fai la doccia calda. Manca il viaggio di ritorno, stanco ma felice, con la medaglia ancora al collo che all’autogrill te la vedono tutti.
Manca tutto questo, il Coronavirus ce l’ha portato via per un po’, sicuro non per sempre, ma la primavera è andata, passata, volata, scappata. Non vissuta. Subìta. Attesa. Chiusi in casa. Soli o quasi. Senz’altro senza amici, compagni di squadra e di viaggi, di scorribande e ripetute. Una primavera dove abbiamo dovuto mettere in pausa i nostri gps. Li abbiamo usati con la modalità ‘indoor’ come non mai.
L’assembramento è positivo. E’ sorriso. E’ normalità. E’ libertà. Di correre, forte o veloce non importa, l’importante è correre e fare gare, perché la domenica mattina col pettorale e le spillette sulla canotta è il nostro rito, il nostro momento, il nostro sogno che diventa realtà. Perché noi crediamo nei sogni e proviamo a realizzarli. Eterni Peter Pan.
Ora tutto questo è vietato, l’assembramento è vietato. Ma noi sappiamo attendere. E le strade, ora troppo grigie e vuote, torneremo a bloccarle e intasarle. Colorati, chiassosi, indomiti e gagliardi. Torneremo presto a fare assembramento. Ditemi che ci assembreremo ancora. Come a New York con la magica foto sul ponte Da Verrazzano, oppure a Roma davanti al Colosseo sui Fori Imperiali, a Parigi sui Champs-Élysées. Ma anche a Verona con l’Arena che ti guarda, Reggio Emilia, Pisa sotto la Torre, Venezia con Villa Pisani proprio lì attaccata o chissà dove altro ancora.