di Cesare Monetti
C’è silenzio sulle strade e baraonda sui social, non c’è alcun colpo di pistola a sancire lo start di qualche gara, garetta o garona in giro per l’Italia. Una domenica così vuota e strana non si era mai vista, forse dai tempi della guerra quando i pensieri erano ben altri. Doveva esserci la RomaOstia come evento più importante della domenica mattina, sudore e chilometri l’abitudine prima di sederci a tavola a mangiare la lasagna. Invece il Governo Conte ha deciso di catechizzarci tutti quanti, giusto o sbagliato che sia: niente gare, niente adunate sportive di qualsiasi tipo, niente tifosi sugli spalti. Che poi, a rifletterci, in una corsa, in una maratona, gli atleti sono loro stessi il pubblico e lo spettacolo nello stesso momento, hanno pagato il pettorale come fosse un biglietto per il loro divertimento, per essere lo spettacolo di sé stessi. Giocare a porte chiuse è semplicemente un ‘niente maratona’. A Roma, Parigi, Barcellona che sia.
E in questo silenzio imposto, comprese le zone rosse che non si possono abbandonare come Lombardia o altre province in elenco governativo, il runner riscopre sé stesso, riscopre il running ‘al tempo del coronavirus’: ovvero la corsa in solitaria, senza il mordente-motivazione di preparare una gara, abbandona i lunghi delle ultime domeniche abili a preparare Roma, Milano, Treviso, Parigi o chissaché e arranca alla ricerca di un obiettivo che non c’è. E allora per cosa corre? Per abitudine, per essere pronto, per la speranza che dal 3 aprile tutto riparta, perché ha la fortuna di fare uno sport ‘che non chiude’. Non come le palestre o il nuoto dove sono tutti all’asciutto. Il motto è semplice: “La strada c’è, la strada non chiude. Io vado”. La libertà del runner non ha uguali, se vorranno fermarci dovranno obbligarci a non uscire da casa. E ancora qualcuno comunque s’inventerà un allenamento intorno al tavolo del salotto.
Però in questa prima vera domenica di blocco totale da coronavirus abbiamo messo in piedi una corsa in solitudine, al massimo in coppia o piccoli gruppetti. Ma manca il cuore, l’abbraccio finale dopo la fatica a ringraziare ‘che mi hai tirato’, manca il ‘five’ dopo la terza delle dieci maledette ripetute, manca la vicinanza. Il metro, quei lunghissimi 100 centimetri imposti dalle Autorità sono dannatamente tanti per noi runner.
Però nel silenzio c’è tanta gente come non mai, folla sulle ciclabili e nei parchi, tanta quanta non se n’è mai vista a camminare, a goffamente correre coi giubbotti e il cappello di lana, non sapendo che in genere dopo il fresco del primo chilometro si inizia sempre a morire di caldo. Il jogger che si mischia al runner, il padre di famiglia che scopre insieme alla moglie che non esiste solo il centro commerciale. E se tutto questo Covid-19 diventasse un ‘virus’ positivo portatore di benessere per i sedentari e poco sportivi italiani? Se tra due mesi decine di migliaia di persone con il proseguimento di questa austerità di locali, cinema, pub, grandi magazzini, avranno scoperto che c’è vita anche all’aperto fatto di un giro in bici, di una corsetta, di una lunga camminata, forse, almeno in piccola parte, qualcosa sarà servito tutto questo malessere e stranezza di questi giorni.
Ma il runner, quello vero, quello puro che tiene il gps al polso anche quando dorme perché misura le pulsazioni e la qualità del sonno magari scopre che la corsa in solitaria è stupenda, che un lungo o un’asfissiante ripetuta si può affrontare anche da soli e non soltanto con la forza del gruppo e in qualche modo sta cosa lo sta forgiando per un futuro da atleta migliore? Oppure, nella corsa in solitaria con le chiacchiere che stanno a zero magari riflette e mette nuovi e diversi sogni davanti a sé: magari niente solita New York Marathon ma una corsa sfida in solitaria, un viaggio di corsa magari unendo 2-3 città in un week-end. Un cammino. Un cicloviaggio. Qualcosa di nuovo, di diverso. Di solitario. Perché la prima domenica del Running ai tempi del coronavirus con il suo silenzio dimostra, ancora una volta, che il silenzio del correre in solitaria è una delle cose più fantastiche che possano esistere. Gioiamo e ringraziamo per ciò che abbiamo e ciò che siamo.